lunedì 24 novembre 2014

SI SCRIVE ETERNIT MA SI LEGGE "MORTE"

È dagli anni 50 che a Casale Monferrato si susseguono morti e malattie degli operai impiegati all’Eternit; dagli anni 70, invece, iniziò il calvario per quelli che non erano occupati all’interno della fabbrica. Da lì è cominciato, in seguito, un travaglio per le vittime di tale contaminazione e fu grazie a Bruno Pesce, sindacalista, e un operaio dell’Eternit, Nicola Pondrano, che la verità venne a galla. Il 22 dicembre del 2004 venne inoltrata a Torino la prima denuncia contro l’azienda per inosservanza di ogni disposizione in materia di sicurezza sul lavoro. Da quel momento, il primo processo si avrà solamente nel 2009 con ben 2889 richieste di risarcimento, quanto il numero delle famiglie delle vittime, e la sentenza di primo grado (2012) che prevedeva 16 anni di reclusione per i proprietari dell’impresa, con l’accusa di “disastro ambientale doloso e omissione dolosa di cautele antinfortunistiche”. Ma la questione non finisce qui. Nel 2013 arriva anche la conclusione del processo di secondo grado con la condanna a 18 anni di carcere per Stephan Schmidheiny, unico proprietario vivente. Giustizia è fatta dunque. E invece no. Il 19 novembre scorso, infatti, la Corte di Cassazione si è espressa in merito al caso annullando le precedenti condanne in base alla prescrizione. Il reato c’è ma non è più perseguibile a causa del tempo trascorso “tra i comportamenti illeciti dell’imputato e le conseguenti morti”. In sostanza, avendo l’azienda cessato la sua attività nel 1986, da quel momento la prescrizione ha iniziato a decorrere. La Corte ha inoltre precisato che in esame non erano le singole morti avvenute, ma il danno ambientale.
Per la serie, se un’abitazione crolla è valutabile, se a distanza di anni una persona muore a causa dell’amianto..beh, quello no! E ancor peggio è che il reato di disastro ambientale non è sostenuto dal diritto. La nostra legislazione si mostra del tutto inefficace davanti a episodi del genere perché affidata a reati contravvenzionali di entità dimessa. Fare, quindi, ricorso al reato di disastro significa appellarsi ad un crimine che può aprirsi a molteplici, ma più semplici, casi particolari. L’opzione di “disastro” difatti risale al codice penale del 1930 ed è da allora che si attende dal Parlamento una definizione plausibile di “disastro ambientale”. Giusto per voler fare un breve appunto, come già detto Eternit cessò la sua attività (in Italia) nel 1986, ma solo sei anni dopo (1992) lo Stato Italiano legifera proibendo la produzione di fibrocemento di amianto. Che il nostro Paese abbia una burocrazia lenta e articolata è cosa ormai nota, ma in casi come questo probabilmente la vera colpa va ricercata nel sistema inquirente dell’epoca, reo di non aver avviato un processo già negli anni 70. Perché, altrimenti, aver emanato il divieto di produzione nel 1992 se non vi erano prove che l’amianto era dannoso?

Nessun commento:

Posta un commento