lunedì 25 maggio 2015

NOZZE GAY, IL PRIMATO ALL'IRLANDA. E L'ITALIA?

Il popolo irlandese ha detto si, i matrimoni gay “s’hanno da fare”! Una vittoria, quella dei favorevoli, che con il 62,1% dei voti hanno segnato una svolta epocale in uno dei Paesi più cattolici d’Europa. E come lo stesso arcivescovo di Dublino, Diarmuid Martin, ha affermato, la Chiesa deve iniziare a fare i conti con la realtà, in quanto è in atto una vera e propria rivoluzione sociale. Ma quando e come questo mutamento ha avuto inizio? Probabilmente da molto, anche se nel frattempo qualcuno si è rifiutato di guardare in faccia il cambiamento. Si tratta a tutti gli effetti di un cambio di rotta particolare, se pensiamo che dal 2010 nell’isola di smeraldo era attivo l’istituto delle unioni civili per le coppie omosessuali. Quest’ultimo conteneva al suo interno la bellezza di 160 differenze giuridiche rispetto al matrimonio, che inevitabilmente portava le coppie gay ad essere etichettate come persone d'infima categoria all’interno della comunità. Una situazione questa, che ha visto spesso e volentieri interventi del legislatore per mettere letteralmente “una pezza” a queste incresciose differenze. Eppure ad aprile 2015, nonostante ciò, attraverso il Children and Family RelationshipsAct, si era già deciso di estendere le adozioni anche a gay e lesbiche. E l’Italia? Al momento sta a guardare e in silenzio.
L’Irlanda ha dimostrato, in soli 5 anni, si essere un Paese nettamente superiore rispetto al nostro, dove ancora ci si interroga sulle unioni civili attraverso il riconoscimento dei diritti minimi, diversi da quelli derivanti dal matrimonio. Da noi si pensa invece ad un disegno di legge, ancora al vaglio, composto da 4.320 emendamenti. Fra questi, si apprende che “Due persone dello stesso sesso (purché non sposati ovvero accompagnati, nemmeno all’estero o per altro ordinamento riconosciuto dall’ONU) costituiscono un’amicizia civilmente rilevante quando dichiarano di voler fondare tale unione a mezzo reciproca raccomandata con ricevuta di ritorno in plico, ovvero a mezzo posta elettronica (eventualmente certificata) inviata per conoscenza all’Ufficiale di Stato civile della residenza di entrambi i concubini.” L’assurdità di tale affermazione non poteva che essere stata partorita da tale Giovanardi. Questo ci tocca, una politica vetusta e retrograda che continua a negare la dignità a persone volutamente marchiate di serie B, e che con la sua lentezza burocratica perdura nel boicottare tali unioni.

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