È di ieri l’ennesima notizia di
una giovane ragazza morta nel...praticare un selfie! Sì, una sciocca moda quasi
maniacale. È la storia di Anna Ursu, diciottenne rumena alla ricerca dell’
“autoscatto perfetto”. Aiutata da un compagno, è salita su un treno e alzando
una gamba, mentre l’altro scattava, la giovane avrebbe intercettato i cavi
dell’alta tensione, rimanendo folgorata all’istante. Mentre il corpo di Anna prendeva fuoco, il compagno è stato scagliato giù dal treno, spinto
dall’alta tensione: lui si è salvato, Anna, invece, con delle ustioni al 50%
del corpo, (com’era logico) non ce l’ha fatta.
Questa morte è una delle tante
che si aggiunge alla lista delle morte per un selfie. Tutte persone giovani: la
ragazza morta a Siviglia, la giovane di Bari precipitata dalla scogliera, la russa caduta nel fiume solo per citarne alcune. La domanda è: perché?
Cosa rende la propria vita meno importante di una foto? Una foto da fare
invidia. Invidia a chi? È per restare immortali? Per essere ricordati? O è lo
sfogo di una generazione che urla “ci sono anche io”? Purtroppo l’unica cosa
che otterranno queste vite, troppo giovani per aver intrapreso strade
importanti, sarà solo una pagina di giornale, che il giorno dopo sarà
dimenticata insieme alla foto che hanno scattato.
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