E se
la distinzione di bene e male potesse avvenire attraverso una pillola che
agisce sul cervello? Probabilmente guerre, violenze, maltrattamenti, ecc., a
quest’ora sarebbero soltanto un brutto e lontano ricordo. Dato che la scienza non ha
limiti, perché non inventare un qualcosa che potrebbe modificare la
società umana? Ora tutto questo sembra possibile con le cosiddette
“smartdrugs”, e un cocktail di ossitocina (il famoso ormone dell’amore) e
farmaci antiserotoninergici (usati contro la depressione con conseguente
diminuzione dell’aggressività), potrebbe essere la chiave per imporre il
controllo sulla mente umana. La neuroscienza, se in parte ha compiuto passi da
gigante per la trattazione di diverse patologie, in questo caso necessiterebbe
di condurre sperimentazioni alquanto delicate se indirizzate al mutamento
morale. Ma soprattutto, filosofia e bioetica possono convivere nello scontro
sulle pratiche di potenziamento morale?
Il dibattito ha preso vie distinte, fra
coloro che reputano molto improbabile che il progetto possa tradursi in
qualcosa di concreto, come afferma John Harris dell’Università di Manchester, e
chi si chiede se sarebbe giusto applicare un metodo artificiale su principi e
valori universali quali tolleranza e rispetto del diverso, come dichiara Massimo
Reichlin, dell'Università Vita- Salute San Raffaele di Milano. E, in
effetti, sarebbe giusto affidare il proprio pensiero e il controllo di esso ad
un semplice preparato chimico? Negli anni la maggiore preoccupazione dell’uomo
si è tradotta essenzialmente nel benessere nel breve periodo, piuttosto che
operare in modo da avere un occhio di riguardo per le generazioni future. Sono
un esempio lampante le variazioni climatiche, senza contare che molti studiosi
affermano che ormai abbiamo superato il punto di non ritorno. Ma non dovrebbe
essere “naturale” adoperare il buon senso per capire cosa è giusto e cosa è
sbagliato? Il buon senso, questo sconosciuto che oggi non trova più dimora nel
pensiero altrui, spodestato dai valori distorti di una società ormai decaduta.
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