Come sempre, un blitz estivo notturno di fine
luglio e il gioco è fatto. L'emendamento Pagano si intrufola nel testo di
riforma del processo penale e impone il bavaglio alle riprese e registrazioni
nascoste. Pena fino a quattro anni di carcere. Con il nodo “Anti-Iene” non si
potranno registrare colloqui nascosti e le indagini non potranno durare più di
tre mesi. Al termine dei quali o il rinvio a giudizio o l'archiviazione del
caso. Viene da chiedersi: che fine faranno le indagini per mafia, che spesso
durano anche anni? E dove finirà il diritto di cronaca e di informazione?
Giornalisti e magistrati insorgono.
Sul divieto di registrare un colloquio di
nascosto interviene il giudice Gratteri, in un'intervista a Il Fatto
Quotidiano: “Noi
sproniamo continuamente i cittadini a collaborare con lo Stato nella lotta alle mafie, chiediamo che
denuncino, che non siano omertosi. È davvero molto grave lanciare il messaggio
che lo Stato adesso vuole l’opposto, ovvero punire l’imprenditore che ha la
prontezza di registrare col cellulare chi lo minaccia o gli chiede il pizzo.
Anche perché gli avvertimenti avvengono una volta sola, poi arrivano le bombe”. Il testo è in queste ore in discussione
alla Camera e sembra che il Pd stia lavorando a un emendamento
sull'emendamento, una riscrittura del testo da parte di Antonella Feranti. Si
vedrà se la scelta sarà tutelare il diritto di cronaca e la giustizia o se
prevarrà la volontà di addomesticare e punire la stampa.
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