Conscious è una recente campagna di H&M, la
popolare catena svedese di abbigliamento low cost, sul riciclo di abiti usati.
Non è l'unica. L'abito usato sta vivendo un'era di forte espansione
commerciale. Non è più solo appannaggio dei famosi cassonetti gialli
disseminati lungo i marciapiedi di città e comuni italiani, protagonisti di
diverse inchieste che ne hanno denunciato il racket criminale. L'abito usato è
il nuovo business. E, anche se ancora non è dato sapere il fatturato delle
aziende che se ne occupano, è ormai chiaro il che giro d'affari è enorme. E
attrae sempre più attori. Qualche esempio. Intimissimi, H&M, Ovs,
Calzedonia, Puma. Sono tutti marchi affiliati alla società svizzera I:Collect,
leader di questo emergente settore. Funziona così: si portano i sacchetti di
vestiti inutilizzati in uno dei negozi di queste grandi catene. Si riceve un
buono d'acquisto per ogni sacchetto consegnato. Gli abiti vengono spediti negli
stabilimenti di I:Co che li smista e li divide in utilizzabili e
inutilizzabili, che verranno destinati al riciclo per diventare poi copertoni
per auto, energia solare, ecc. I:Co tiene strettamente riservati i suoi
bilanci.
Non è dato sapere il suo giro d'affari. Certo è che gestisce punti di
raccolta in tutto il mondo, con duemila dipendenti e tratta settecento
tonnellate di oggetti usati ogni giorno in più di novanta paesi. E altre
aziende stanno nascendo con ambizioni da leader: Texaid, svizzera, a cui sono
affiliate anche organizzazioni umanitarie come Croce Rossa e Caritas, che da
questo business hanno avuto un fattuato di 5,4 milioni di franchi svizzeri. E
poi Context e Tell-tex. Per cui... dall'umanitario e solidale al vero e proprio business economico.
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