martedì 15 aprile 2014

EURO SI, EURO NO: LA DOMANDA E’ SBAGLIATA!

“A livello globale, la deregolamentazione finanziaria 
ha favorito una crisi debitoria di proporzioni epocali,
comparabile a quella seguita alla II guerra mondiale” (p. 266)

“Nell’Eurozona, il riferimento a un obbiettivo di 
inflazione europeo, […] ha portato la BCE a
praticare politiche troppo espansive perché 
tarate sui risultati e sui bisogni del Nord” (p.268)

Il Tramonto dell’Euro
Alberto Bagnai 
2012, Imprimatur Editore

“Quando la politica monetaria arriva al punto di 
scegliere fra inflazionare o deflazionare l’economia,
fra favorire debitori o creditori, fra salvare selettivamente 
alcuni piuttosto che altri, fra permettere o impedire 
alle banche di avere atteggiamenti collusivi, 
nessun Paese democratico può lasciare decisioni simili 
a tecnici non eletti. 
La dottrina dell’indipendenza della banca centrale diventa impossibile da sostenere” 
Central Banking Doctrine in Light of the Crisis 
A. Leijonfhufvud, 2008

In Italia, dall’inizio del 2012 politici, opinionisti, economisti e gente comune non fanno altro che interrogarsi sull’uscita dall’euro, piuttosto che sull’Europa che si vorrebbe (ri)-costruire a seguito delle elezioni politiche di Maggio. Come in un’interminabile puntata di Marzullo, tutti gli attori in scena si pongono la domanda e si rispondono, senza ascoltare argomentazioni altrui. Quale possibile spiegazione dietro questo modo solipsistico di fare e di “sragionare”?

Una possibile interpretazione di tale dilemma cultural-nazionale potrebbero essere gli interessi degli speculatori liberisti europei e dei vari clientes italiani (nazionali e regionali, vedi caso ricostruzione L’Aquila) nel rendere l’Italia una nazione da depredare, liberalizzandola totalmente a prezzi di svendita. 

Sviare i cittadini dal focus dell’attuale crisi che ha investito l’Europa, piegato la Grecia ai voleri della Troika ed esasperato i mai risolti problemi economo-socio-politici italiani, è un’ottima scelta strategica che presuppone l’appoggio di alcuni ambiti della politica nostrana per andare a buon fine. Ad esempio, uno dei temi principali di questa sviante diatriba è l’inflazione – enorme, quasi stratosferica, a detta di alcuni – che l’uscita dall’€ comporterebbe. Al contrario, l’inflazione che ne deriverebbe, si attesterebbe tra il 10 ed il 20% nel peggiore dei casi possibili come affermato da Bootle (2012), Sapir (2011) e Bagnai (2012).

Ciò di cui non si parla affatto, invece, sono le politiche fiscali, monetarie ed economiche europee, né tantomeno della deregolamentazione e della speculazione passate ed in atto nell’area €uro.

Come sostiene Bagnai, “l’integrazione dei mercati finanziari €uropei realizzata dall’€uro, in assenza di una parallela integrazione e di un rafforzamento della vigilanza e della regolamentazione bancaria, ha significato l’apertura del pascolo pubblico” (p.167) ovvero delle privatizzazioni selvagge delle aziende del settore pubblico. In una situazione di crisi, causata dalla bolla dei debiti sovrani greci e dei fondi speculativi americani, è molto facile per i pochi possessori di liquidità investire in paesi che usufruiscono dei “prestiti” del fondo salva-stati dell’U€ o di quello, analogo, del Fondo Monetario Internazionale (Klein, 2007, p. 312). Questi interventi obbligano invariabilmente i paesi debitori a varare immediatamente delle riforme che solitamente seguono tre principi: liberalizzazione, deregolamentazione e privatizzazione (Strange, 1998, p.22). In Italia, l’applicazione pratica di tale “filosofia” condurrebbe al taglio della spesa pubblica tramite blocco del turn-over e diminuzione di stipendi e pensioni, riforme del lavoro (jobs act, ovvero precarizzazione) e privatizzazioni delle aziende del settore pubblico (ad es., quota Eni passata ai cinesi).

Queste decisioni seguono i principi base del liberismo economico più sfrenato che il nostro continente abbia mai conosciuto, facendo pagare ai cittadini-contribuenti gli investimenti speculativi errati del capitalismo d’azzardo (vedi caso JP Morgan). Tali provvedimenti di politica economica seguono inevitabilmente un periodo di shock finanziario, politico o della sicurezza interna, come accaduto ad esempio in America dopo l’11 Settembre 2001. Successivamente all’attacco terroristico alle Torri Gemelle, George W. Bush infatti privatizzò gran parte del settore della Difesa a vantaggio della Lockheed Martin e della Halliburton, principali aziende appaltatrici operanti nel settore difesa e partecipate a livello azionario dall’allora segretario di stato americano, Donald Rumsfeld (pp. 340-358, Klein, 2007).

Se il connubio politica e settore privato (conflitto d’interessi) sembra guidare in maniera totalitaria la politica del nuovo Millennio, allora la domanda da porsi, per noi cittadini europei, diviene la seguente: come potremo influire attivamente e rappresentativamente su tali decisioni? L’unica risposta valida e realizzabile è la seguente: inserire nel Trattato europeo i contenuti dell’Atto unico firmato nel 1986 da 9 paesi UE. Tale documento attribuisce al Parlamento Europeo il potere di proporre leggi, ovvero  fornisce i parlamentari della cosiddetta iniziativa legislativa (Bardi e Ignazi,1999, p. 33). Solo in tal modo potremo influire direttamente sulle linee politiche europee, arginando l’attuale filosofia imperante dettata dal liberismo predatorio e speculativo.

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