sabato 29 marzo 2014

QUANDO IL DISINTERESSE SPEGNE LE LUCI DI UN CONFLITTO


Le luci dell'Occidente sono spente in alcune parti del mondo. Come in Sud Sudan dove si continua a combattere.
Il primo problema riguarda i prigionieri politici. Kiir accusa Machar di avere tentato un colpo di Stato e non intende liberare i funzionari governativi ritenuti complici del fallito golpe, mentre il suo ex vice chiede il rilascio immediato di 11 prigionieri di alto profilo. Le violenze etniche fra i sostenitori di Kiir e quelli di Machar sono scoppiate il 15 dicembre. Il Consiglio di Sicurezza, qualche tempo fa, ha approvato all'unanimità la richiesta del segretario generale Ban Ki-moon di rafforzare la missione di pace delle Nazioni Unite dispiegata nel paese. Ma si sa, le Nazioni Unite possono ben poco se gli Stati occidentali non hanno interessi concreti su un territorio (anche se in guerra). Il presidente Barack Obama aveva annunciato l’invio di un contingente statunitense per proteggere i cittadini e gli interessi americani ed “evitare che gli ultimi combattimenti facciano precipitare il Sud Sudan nei giorni bui del suo passato”. L'inquilino della Casa Bianca si augurava che “le violenze cessino e tutte le parti ascoltino i saggi consigli dei loro vicini e si impegnino per il dialogo e per misure immediate che riportino la calma e sostengano la riconciliazione". Ma poi è scoppiata la crisi Ucraina. E sappiamo bene che questa è una regione chiave nella strategia geopolitica occidentale.
Intanto in Sud Sudan si continua a morire. La prima fossa comune è stata scoperta a Bentiu, nello Stato di Unity e almeno altre due sono state rinvenute a Jebel-Kujur e Newside. E sappiamo per certo che questo è solo l'inizio.
Certo sono stati intavolati colloqui di pace. Ma questi non sembrano sortire effetto soprattutto sulle forze dell'esercito fedeli al presidente Salva Kiir e sui ribelli leali all'ex vice presidente Riek Machar, che continuano a combattere.

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